“SanPa”: bene un sano confronto sulla figura di Muccioli, ma non si perda di vista il presente della comunità.
San Patrignano è parte della storia, del presente, del futuro del territorio. E per questo farsi delle domande è giusto, sacrosanto, purché dalle domande nasca un sano confronto, non un inutile scontro.
Ho visto come molti “SanPa”, la docu-serie Netflix che ha riportato sotto i riflettori la figura di Vincenzo Muccioli, fondatore della comunità sulle colline di Coriano. Ho visto una ricostruzione dettagliata e fedele, che raccoglie testimonianze, documenti che raccontano un pezzo di storia. Ecco, un pezzo della storia. Credo infatti che “SanPa” sia una prima stagione di una narrazione che, per completezza, dovrebbe aver almeno un secondo tempo. Per raccontare di come la comunità abbia continuato a vivere dopo Muccioli, diventando quella realtà che oggi conosciamo. Una comunità che ho conosciuto anche attraverso il mio lavoro: un luogo di recupero e condivisione, un esempio virtuoso di come si possa lavorare sulla fragilità, trasformandola in forza. Un luogo che tuttora apre i suoi cancelli a ragazze, ragazzi, famiglie, restituendo loro speranza e futuro. Perché la tossicodipendenza c’è ancora, le dipendenze esistono, e se ne parla sempre troppo poco: se il prodotto Netflix deve avere un effetto, allora che sia quello di riaccendere la luce su una tematica che è reale, riflettendo sul passato ma senza arenarsi.
Restituire speranza e futuro era quello che si proponeva San Patrignano negli anni ’80, quando il problema della droga aveva travolto tutto il Paese e lo Stato non aveva strumenti adeguati per combatterlo. Io ero bambina, in quegli anni: ricordo giovani accasciati per strada con un laccio emostatico in mano. Immagini talmente forti che solo a raccontarle rabbrividisco. Per questo per comprendere il personaggio di Muccioli – resto convinta che “SanPa” parli di lui, più che della comunità – non si può prescindere, come spettatori, dal contestualizzare la sua vicenda in quel periodo storico. Gli anni Ottanta sono finiti, sulle droghe c’è una nuova consapevolezza. Le luci e le ombre ci sono state, vanno conosciute e riconosciute, ma non devono far perdere di vista il presente.