Sognando Nairobi.
Il Clan Karif, una comunità di venti giovani liceali ed universitari, che fa parte del gruppo Scout del Rimini 3, con sede presso la Parrocchia di Sant’Andrea dell’Ausa (Crocifisso), a ottobre dello scorso anno ha espresso il desiderio di poter ampliare le proprie esperienze di servizio in un contesto mai incontrato prima, dove il grido degli oppressi fosse così forte da non poter essere ignorato, dove potersi immergere a pieno in un’esperienza di incontro con gli “ultimi del mondo”, di condivisione, di riflessione, di fede.
Il Clan Karif ha scelto di partire per Kibera, baraccopoli situata a Nairobi, capitale del Kenya, nell’Africa sub-equatoriale. Kibera ha una particolarità, non solo è la baraccopoli più grande della città, ma rappresenta anche lo “slum” più grande del continente Africano, con una popolazione stimata tra i 700.000 e 1.000.000 abitanti, che vivono in totale assenza di acqua potabile ( che, per chi può permettersela, va acquistata da privati), condizioni igieniche di qualsiasi tipo e assistenza sanitaria di base.
E’ un luogo di miseria, di malattie terribili come l’HIV, di abbandono totale, un paradosso se si pensa alla ricchezza della capitale kenyota, dove sorgono ville in perfetto stile hollywoodiano e dove la vita scorre al pari di una qualsiasi metropoli occidentale, tra agio e divertimenti. Eppure ai margini di tanta ricchezza vi sono le realtà delle baraccopoli, dove sopravvivere diventa una sfida quotidiana.
I ragazzi del Clan hanno lavorato a lungo per perseguire questo sogno: da novembre, infatti, l’impegno comune è stato quello di trovare finanziamenti tramite le attività più disparate come facchinaggio, imballaggio, animazione a feste e matrimoni, servizi di catering, il tutto per rendere il più possibile accessibile economicamente il viaggio a tutti i membri del clan.
Il 17 luglio 2018 il sogno ha preso forma concreta: il Klan è partito per Kibera dove rimarrà fino al 28 agosto. Durante questo periodo il Klan si occuperà di affiancare gli operatori quotidianamente, mettendosi in gioco con i piccoli abitanti di Kibera condividendo con loro il percorso di recupero dalla dura vita che facevano prima. Si tratta di minori che spesso perdono il contatto con la famiglia di origine, perché orfani o perché questa non riesce più a provvedere ai bisogni primari dei piccoli, che quindi finiscono in strada, dove vivono di stenti, organizzandosi in bande per sopravvivere alle violenze che la vita di strada comporta.
E’ bello sapere che in un periodo così buio dove l’odio e il rifiuto compromettono il rispetto e la generosità ci siano ragazzi che hanno voluto provare questa difficile ma importante realtà con gli “ultimi del mondo”. Questi ragazzi hanno posto i valori della partecipazione e della solidarietà al centro del loro impegno. Con il loro esempio di partecipazione attiva hanno segnato positivamente le nostre coscienze, troppo spesso chiuse nei nostri egoistici individualismi, richiamandoci ad una dimensione vasta del concetto di comunità in cui il futuro sarà come noi, insieme, lo vogliamo e lo costruiamo. Bravi ragazzi.